domenica 6 settembre 2009

Tra Storia e leggenda

I tre pescatori

Paolo, Vito e Salvatore Giacalone
La narrazione si snoda nella Mazara marinara della fine dell'Ottocento, in epoca in cui la povertà dei pescatori era drammatica e la sopravvivenza era assicurata solo dal lavoro giornaliero e la battaglia contro l'inclemenza del tempo,soprattutto nei mesi invernali era costante [...]

(tratto da Sotto il cielo di Mazara, di Salvatore Gancitano)

Erano chiamati i tre re, a piedi nudi si avviavano presso il piano della marina incontrandotaciturni pescatori che abbozzavano un cenno di saluto, e, attraverso la salita del Purgatorio, si dirigevano alla chiesa di Santa Teresa. La messa giornaliera, prima dell'inizio del lavoro, era solo un atto di religiosità e di fede, ma anche una speranzosa richiesta di vivere ancora un giorno senza essere travolti dal mare in tempesta. Avevano saputo dell'ultima disgrazia accaduta il giorno prima. Il vento impetuoso e improvviso aveva stroncato altre sette vite di pescatori, il padre con sei figli, capovolgendo la barca, coprendo di fredda acqua salata gli sventurati e allungando il numero di dinne vestite di nero e di bambini privi delle carezze dei genitori. Erano ancora sbalorditi, storditi e senza parole e ogni ulteriore tragedia li rendeva sempre più silenziosi, intenti ad inseguire i pensieri nascosti. Ogni anno due, tre o più naufragi. Quanti pescatori, parenti ed amici, a riposare nel fondo del mare e, forse, a disperarsi ancora, anche lì sotto, per i figli rimasti soli e senza pane!
Ma ecco, arrivarono alla barca ancorata. Alzarono la vela e lentamente, con il cuore scuro, iniziarono un'altra giornata di sudore e di passione. Passavano davanti alla statua di San Vito, facendo un rapido segno della croce, ma quanti pensieri inviavano al loro protettore. No, per chiedere un'esistenza migliore, no, per domandare un'altra attività lavorativa, più remunerativa e meno rischiosa, no per avere una pesca abbondante. [...].
Quel giorno scelsero come zona di pesca le acque di Capo Fedo, ad una distanza tale che si vedevano fievolmente le luci della città. Dopo alcune ore trascorse nella vana ricerca di un tratto di mare pescoso, ebbero la disavventura di incontrare una spessa coltre di caldo umido anticipante la nebbia che nascondeva le barche e le luci. Ascoltavano, pertanto, in silenzio i rumori e, per evitare incidenti, mandavano segnali a voce. Neanche i gabbiani tenevano compagnia. Ma dovevano pescare lo stesso, non potevano ritornare a casa a mani vuote. Gettavano in fondo al mare la rete e dopo circa un'ora la tiravano su con la sola forza delle braccia senza prendere un solo pesce. Tentavano e ritentavano ma sembrava che il mare quel giorno avesse deciso di non dare niente ai tre pescatori, che fino all'ultimo soffio d'energia non intendevano arrendersi. Quando il sole incominciò a calare insieme all'ultimo filo d'energia, pure la volontà abbassò bandiera e i treavviliti cristiani arrancarono a riva senza un residuo di vigore da consentire di ancorare la barca. Lasciatela sulla spiaggia e, sfiniti, si abbandonarono bocconi sopra la bianca sabbia, esprimendo ognuno la propria considerazione. Il primo, mentre si lasciava cadere, con un filo di voce, sussurrò: "L'anno povero rende la vita amara". Il secondo, spossato dalla fatica, aggiunse: "E la fatica scellerata e crudele". Il terzo, il più avanti negli anni, abbattuto da questi continui travagli etribolazioni, non riusciva a trattenere il pensiero: "io che sono nato quando le acque del fiume erano trasparenti, ora, arrivato all'ultima cala della vita sono costretto a patire ancora per portare a casa solo nullità". Fradicio d'acqua, con il respiro affannato, mentre il pesante corpo cadeva sulla sabbia, in segno di resa, imprecò: "Spalancati sepoltura chè refrigerio è la morte per me".
Quel giorno portarono a casa soltanto stanchezze e sfinimenti, ma non bastarono per sfamare la famiglia. E non fu l'unica volta.

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