lunedì 21 dicembre 2009

Imbianchini, decoratori e pittori

Anni Cinquanta
1957 (circa) - Giuseppe Caradonna davanti alla sua bottega in via Madonna del Paradiso. 
Pino Caradonna (sulla bici, nipote ), don Sasà?, Peppino Caradonna, Francesco Giacalone (trapanese), Giovanni Di Liberti, Vito Caradonna, Vito Di Liberti, e Paolo?

Bottega di decoratore
Vito e Diego Di Liberti



venerdì 11 dicembre 2009

Muratori

1964
Nino, Luigi e Baldassare Spagnolo

giovedì 10 dicembre 2009

Marmisti

Laboratorio del Marmo di Gandolfo
Salvatore Buffa, marmista del laboratorio

Salvatore Buffa

martedì 1 dicembre 2009

Satiro danzante

Quante aspettative, deluse!!


"Credo di avere la prova che sia veramente il Satiro Periboetos di Prassitele", cosi' l'archeologo austriaco ha presentato ieri, nella sede della Stampa Estera a Roma, la sua tesi che avvalora l'ipotesi di un altro studioso, Claudio Moreno, per cui il Satiro di Mazara del Vallo sarebbe da attribuire al noto scultore greco del IV secolo a. C., Prassitele.

A differenza di quanti, come Salvatore Settis e Nino Giuliano, fanno risalire l'opera all'epoca Ellenistica, del III/II secolo a. C., o altri ancora che la collocano in quella Classicistica romana, del I secolo d. C., Andreae sostiene che, per diverse somiglianze con altre opere e per una "firma" inconfondibile dello scultore, l'opera non possa che essere riconducibile a Prassitele.

Lo studioso, oltre ad una somiglianza con le figure presenti sul collo di un vaso attico, del IV secolo a. C., e ad una predilezione di Prassitele per Dioniso ed il suo corteggio come protagonisti dei suoi capolavori, attraverso numerose ricostruzioni e diversi confronti, ha dimostrato come ci siano punti e tratti in comune, per esempio tra il volto, ed in particolare con la linea che collega occhi e naso, ma anche con il pene e l'orecchio equino, con l'Apollo di Villa Albani, traccia inconfondibile della "calligrafia", come la definisce lo studioso, di Prassitele.

Riceviamo e pubblichiamo
Oggetto:
Rivendicazione della paternità dell’identificazione e dell’attribuzione a Prassitele del Satiro di Mazara
Spett.le Osservatorio culturale MazaraCult,
nell’articolo uscito lo scorso 25 febbraio sul Frankfurten Allgemeine Zeitung, ripreso da gran parte della stampa italiana, il prof. Bernard Andreae asserisce d’aver individuato nella resa plastica del pene (sic!) del Satiro di Mazara l’elemento che ne consentirebbe la definitiva attribuzione a Prassitele, inopinatamente (e falsamente) assegnata al prof. Paolo Moreno.
Ma il professore di Tor Vergata ha pubblicato sulla rivista Kalòs il suo studio “inedito” (ma non per questo originale), con il titolo Il Satiro di Mazara del Vallo. Il derviscio di Prassitele, solo nel numero 3 di luglio-settembre 2001: quindi, a più di tre anni di distanza da quando, il 23 marzo 1998, sono stato chiamato a dare ufficiale comunicazione al Sindaco e alla Giunta di Mazara della teoria che aveva consentito d’identificare come Satiro il bronzo (dalla Soprintendenza di Trapani e dallo stesso Sgarbi assurdamente scambiato per una raffigurazione di Eolo) e di attribuirlo a Prassitele.
Tale teoria era stata organicamente elaborata in base alla mia precedente scoperta di un eccezionale schema di satiro (sfuggito alla critica d’arte antica), rilevato precipuamente in una cospicua serie di bassorilievi fittili, con soggetti dionisiaci, di età ellenistico-romana (conservati al Louvre di Parigi e al Metropolitan di New York), in un oscillum pompeiano in marmo di Luni della metà del I sec. a.C., e in una gemma di agata calcedonio, di qualche decennio più tarda, attribuita a Sostratos (al Museo Archeologico Nazionale di Napoli); e quindi in innumeri altre manifestazioni d’arte, dal celebre cratere Borghese alle neoclassiche ceramiche a fondo blu della manifattura di Weedgood.
Un importante sviluppo della teoria, estesamente illustrata in una cospicua serie di conferenze documentarie e di convegni di studi, mi ha altresì permesso di cogliere l’insospettata influenza di tale schema sull’arte europea dell’età moderna (ancor prima del ritrovamento della statua bronzea nel canale di Sicilia), attraverso la circolazione della gemma di Sostratos, che rappresenta la più fedele riproduzione nota del capolavoro prassitelico.
Ritrovata a Roma nel sec. XVI da tombaroli di fortuna e acquistata per la sua ricca collezione di gemme da Lorenzo il Magnifico, il quale vi fece incidere le sue iniziali, mostrata al Pollaiolo (che ne comprese il linguaggio formale, riprendendone la figura negli affreschi della Torre del Gallo, ad Arcetri), diede inizio alla figurazione del nudo nel Rinascimento; passata dopo secoli, attraverso la collezione Farnese, al Reale Museo di Napoli, fu “scoperta” da Picasso durante la visita fatta nel 1917 in compagnia di Igor Stravinskii, impressionando a tal punto il grande pittore spagnolo da segnare la sua svolta neoclassica, persistendo nelle fasi artistiche successive.
Tale contributo è stato presentato nell’articolo “Il Satiro che conquistò Picasso”, uscito su “Feeria” nel giugno 2004, due anni prima che Moreno pubblicasse su “Archeo” il suo articolo “È di Prassitele il Satiro di Mazara?”, riproponendo, con qualche integrazione, la sua tesi iniziale, fondata su meri raffronti figurativi, privi di un organico quadro di riferimento storico-artistico e iconologico.
Rammentando come la stampa, sia regionale (cfr. La Notizia marzo-aprile 1998, Hermes luglio 2003, Il Belice luglio-agosto 2006), sia nazionale (cfr. La Repubblica 9 luglio 2003, La Sicilia 17 febbraio 2007, 8 marzo 2009) abbia sempre confermato la mia paternità dell’identificazione e dell’attribuzione a Prassitele del Satiro di Mazara, Vi prego di voler dare diffusione nel vostro notiziario alla presente nota di protesta, levata contro il prof. Moreno per i reiterati tentativi di indebita appropriazione, e contro il prof. Bernard Andreae per la loro inaspettata coonestazione.

Confidando nel pronto accoglimento della presente richiesta, vi prego di voler gradire, con il mio vivo ringraziamento, i saluti più cordiali.
Giuseppe Camporeale
Iconologo e storico dell’arte antica
91022 Castelvetrano - Via Bonsignore, 42
Tel. 0924.81245 - Fax 0924.45162
 giuseppecamporeale@libero.it


sul Satiro hanno scritto anche...

http://linguaggidipsiche.it/onewebmedia/Il%20Satiro%20di%20Mazara.%20L'enthousiasmos%20e%20il%20salto%20iniziatico%20FILIPPO%20SCIACCA.pdf

lunedì 30 novembre 2009

Ignazio Crema & Antonino Ingargiola

Ignazio Crema e Mastu Nino Ciolla, al secolo Antonino Ingargiola, sono stati i co-titolari del Cantiere Navale, che era ubicato sotto il Ponte sul Mazaro. Valenti carpentieri navali sono stati dei pionieri nella costruzione delle piccole imbarcazioni in legno che hanno accompagnato per anni i nostri pescatori nel faticoso lavoro quotidiano. 

L'officina negli anni Cinquanta 


Alcuni collaboratori 
Dall'albero al prodotto finito 






Nino Ingargiola, Ignazio Crema 


con un gruppo di collaboratori 


Sullo sfondo le vecchie case popolari

Tra i tanti meriti di don Gaspare Morello vi fu, anche, quello di suo fattivo e determinante intervento nel settore della Piccola Pesca. Realizzò una cooperativa che riunì la gran parte degli operatori di quel settore, apportando benefici, vantaggi e maggiore lavoro per tutti. Riqualificò un ambiente disastrato, invelenito da negativa concorrenza, facendolo diventare un fiore all'occhiello della nostra marineria. Era anche convinto dell'importanza dei servizi collaterali ed in particolare della cantieristica, pertanto divenne amico ed estimatore sia di Ignazio crema sia di Nino Ingargiola, riconoscendo loro doti di grandi lavoratori ma soprattutto di valenti artigiani. Importante fu il contributo di supporto che, costoro, con la loro indiscussa maestria, diedero all'intero settore. 


Ignazio Crema, don Gaspare Morello, Nino Ingargiola (a destra un piccolo Maiorana) 


Il momento più bello: il Varo - Era una avvenimento che coinvolgeva tutti 
La benedizione e il battesimo del natante 

Ammirate quanta calorosa partecipazione 
Festa di tutti 


L'Azienda operava pure nel Settore delle imbarcazioni da diporto 

1957 - Mostra Mercato - Stand Espositivo di unità da diporto 
Ignazio Crema, Nino Ingargiola & collaboratori 




Visita allo stand delle Autorità civili e religiose 
Bartolomeo Romagnosi, Umberto Castelli, don Lorenzo Caravaglios, Antonino Ingargiola, l'avv. Giorgio Cobertaldo presidente del CPC (Commissione Provinciale di Controllo), mons. Gioacchino Di Leo, ing. Norrito 

Anni Settanta 
Una delle imbarcazioni di media grandezza che venivano "tirate" per la normale manutenzione

Veduta dal fiume 

domenica 29 novembre 2009

Meccanici

Anni Cinquanta

Norrito Giosuè



Meccanico di Auto - Officina di Giuseppe (Piddru) Cacioppo
 (dove oggi sorge il palazzo edificato da Dante Burgio nel lungomare Mazzini)

1951 - Pino Marino (il secondo)
Prima di diventare Vigile Urbano, lavorò per un certo tempo come meccanico nell'officina di Piddru Cacioppo

Piddru Cacioppo

14/1/1958


Retro



1959 - Meccanico Moto
Tommaso Di Bona

1962 - Officina Gaspare D'Aguanno - Lavori in ferro - via Settevanelle
L'operaio Gaspare Sciuto

1976 - Officina Gaspare D'Aguanno (via Pietro La Rocca)

Pino Carrato, Filippo Falcetta, Mimmo Lodato, Vito Alagna, Vito e Rosario Maragioglio  

1969 - Officina Meccanica - Lungomare San Vito (di fronte alla chiesa)
Angelo Romano, Pipitone, Pino Curatolo, Nicola Rallo, Gaspare Rizzo

Anni Settanta
1973
Vincenzo Bruno, Ciccio Pisciotta, Salvino Giaramitelli (infermiere)

sabato 28 novembre 2009

' U Stazzuni

Il termine è il luogo della lavorazione dell'argilla per la realizzazione di vasi, mattoni ecc. e stazzunara sono gli artigiani addetti alla realizzazione dei manufatti di terracotta. Lu mastru stazzunaro è un vero maestro del tornio, che nell'uso sapiente di questo particolare strumento e nella scaltrita conoscenza delle tecniche di tornitura esplicita un patrimonio culturale di maggiore spessore e complessità. Negli anni trenta - quaranta erano in attività Federico Vanella, Pietro Ingarra, Paolo Fascella e Nino Sforza. Nel quartiere Mulino a vento erano ubicate le fornaci di numerose famiglie, come quella dei Nastasi, dei Castigione, degli Stassi, dei Cremona e dei Grimaudo e quella dei Rubino. Attualmente l'unico rimasto è quello di via Marsala un tempo gestito da mastru Turi Rubino, oggi dal figlio. Le ubicazioni erano in relazione ai luoghi di estrazione della materia prima e dalle fonti di approviggionamento dell'acqua e in parte dalle vie dicomunicazione che favorissero la commercializzazione. Spesso l'attività che si svolgeva da aprile ad ottobre, veniva integrata con seconda attività, quasi sempre agricola, che si svolgeva da novembre a marzo. (Chi volesse approfondire l'argomento può farlo leggendo il libro di Tonino Cusumano "La terra e il fuoco")
Il reportage fotografico è stato da me eseguito negli anni 70

Fornacei Rubino - via dei Ciclopi (adiacente la via Marsala)


La creta

Panoramica dall'alto - Essiccamento dei manufatti



Mattoni essiccati e posti in deposito, pronti per la fornace

Pinnata e manufatti in essiccamento

Un fedele compagno di lavoro per preparare la materia prima









Piccolo lavorante che immette la creta nell'apposita macchina per ottenere un impasto compatto...

... duttile e pronto per consegnarlo per il lavoro definitivo



La creta impastata pronta per la lavorazione sotto la pinnata. Dal punto di vista chimico le argille sono silcati idrati d'alluminio. L'argilla è da cunzari e da allatinari (da addomesticare e rendere duttile e manipolabile). Dalle nostre parti l'argilla si estrae dalle cave nella valle del Belìce.


Altro lavorante che si prepara











Salvatore Rubino, mastro vasaio

Quella del vasaio è un’arte che si tramanda da millenni, In epoca pre e protostorica il vasaio usa l’argilla così come la trova in natura e, dopo una depurazione sommaria, passa direttamente alla modellazione. In epoca storica, invece, si pone maggior attenzione alla granulometria dell’argilla, in quanto il prodotto finito non deve essere solamente funzionale, ma anche gradevole alla vista. E, così, dagli impasti molto grossolani con cui sono realizzati i vasi più antichi, ottenuti direttamente con l’argilla estratta dalle cave senza operare nessuna scelta qualitativa, si passa ad impasti meno rozzi che contengono argilla “più pulita”, fino ad arrivare alla cosiddetta “argilla figulina”, cioè ad un amalgama che, prima della modellazione, viene sottoposto ad una serie di operazioni finalizzate all’eliminazione di qualunque particella estranea (pietruzze e detriti vari) presente nelle zolle di argilla, attraverso sistemi quali la setacciatura, la levigazione in acqua corrente e la sedimentazione in acqua ferma. Si procede poi alla modellazione, oggi chiamata “foggiatura a mano”, con l’ausilio delle sole mani senza alcuna attrezzatura, perché era sufficiente rendere concavo, attraverso la pressione delle mani, un pane di argilla, che era poi ulteriormente sagomato e rifinito. Da queste prime ed elementari tecniche si passa a quella molto più precisa del tornio (greco “trochos”; latino “rota figularis”): solitamente verticale, esso è costituito da un asse che collega un piatto circolare superiore con un disco inferiore in legno che viene fatto ruotare con i piedi, dandogli la velocità necessaria per far “montare” il pezzo. A foggiatura finita il vaso è posto ad essiccare, per fargli perdere l’acqua in eccesso. Si applicano successivamente eventuali rivestimenti e la decorazione, praticando con un arnese appuntito delle incisioni più o meno profonde. Si passa, quindi, alla cottura, che avviene in appositi forni ad una temperatura, che, spesso, oltrepassa i 1000 °C. I risultati di questo processo produttivo sono di una bellezza che lascia a bocca aperta. I primi manufatti in ceramica appartengono al periodo Neolitico, risalenti al secolo XI a.C. e rinvenuti in Giappone e in Cina. Tra il IX e l’VIII secolo a.C. la ceramica viene prodotta prima nell’area mediorientale, nella cosiddetta “mezzaluna fertile” (le moderne Iran, Irak, Turchia e Palestina), poi si diffonde nel “mondo mediterraneo”, specialmente nell’antica Grecia, che ha prodotto una notevole influenza su tutto l’Occidente e, quindi anche sulla nostra Calabria. Grande e variegata è stata la produzione di ceramica, con la quale sono stati realizzati ornamenti, opere d’arte e di culto (statue, sarcofagi), materiali per l’edilizia (mattoni, tegole, piastrelle, tubature), attrezzi da lavoro (pesi da telaio, fornelli, anfore, mortai, lo stesso pentolame, scodelle, brocche).

Filippo Rubino (figlio, continuò la tradizione di famiglia fino al 2017)

Nel pomeriggio di oggi 21 marzo 2017, intorno alle ore 15.30,  è deceduto all'interno della azienda Filippo Rubino di 69 anni. Salito su una scala, per cause in fase di accertamento, forse colto da un malore, si è accasciato sula coclea, il rullo che poi va a scaricare il materiale argilloso all’interno di una pressa. Incidente sul lavoro o malore improvviso?


Poesia
Ciatò supra la crita e fici l’omu...
«Ha travagghiari, omu, cu suduri!»
E l’omu s’arrabbatta pi campari,
e puru di la crita iddu si servi
comu fici lu Granni Stazzunaru.
Ma pi fari chi cosa, criaturi?
Iddu è na cosa nica, un cicercu,
è na muddica di lu pani santu.
Eppuru cu la crita iddu cci campa.
Lu pedi nto pidali di lu tòrniu,
li manu ch’accarizzanu la crita
- vagnata ed allisciata cu mastria -
assemi a lu suduri chi l’allustra
vannu figghiannu bbùmmuli e lanceddi,
e ggiarri cu quartari e varilocchi,
e canali e maduna e tanti lemmi.
E lu cori s’allarga di prijzza...
Lu Granni Stazzunaru fici l’omu,
lu stazzunaru nicu fa lanceddica,
chini d’acqua, astutanu la siti
di cu di crita è fattu e d’idda campa.
                          Biagio Scrimizzi